In questi mesi ho scritto di tutto: molte cose le ho cancellate, altre pubblicate ma ad alcune ho fatto in modo di non pensare.
E non ho mai scritto delle assi di legno: quel legno che ha un profumo tutto particolare, che una volta entrato a contatto con le mani, con i piedi, non si stacca più. Non ho scritto dell’amore che mi lega a quel legno e di quanto è stato difficile staccarmene. Forse perché, come dice un mio caro amico, certe cose dette ad alta voce perdono importanza, vanno maturate in silenzio nel proprio cuore e solo allora forse se ne potrà dire.
Penso di esserci arrivata.
Quel legno è stato per me il rifugio più solido, la mia casa, il pavimento su cui stendermi quando proprio non reggevo, il luogo dove ho provato le più grandi gioie e il più allucinante dolore, dove sono cresciuta: molte volte a suon di errori e delusioni. Ed ora se chiudo gli occhi so sentirlo ancora sulle mani, riesco a vederne gli angoli bui, ricordo il profumo di cose nuove, di scoperte.
Ma soprattutto amo chi su quel legno ci è passato con me, e che di me non si dimentica. Amo ancora quelle giornate passate a suonare, a riascoltare mille volte le stesse parole, a cercare di superare i propri limiti, a buttare fuori tutto quello che si poteva, tutto in cambio di quella sensazione di pienezza: essere al posto giusto al momento giusto e non preoccuparsi del tempo che passa.Amo chi dopo tanto tempo riesce ancora a capire senza bisogno che io spieghi, amo chi a quel legno ha deciso di dedicare la propria vita: che sarà difficile a volte, ma che non lascerà mai “vuoti”, annoiati. Amo ancora chi aspettava sulla porta che si finisse e che in verità aveva tanta voglia di entrare e vedere, rubare. Perché su quel legno è vero si lavora per far viaggiare qualcun altro, ma si lavora soprattutto per se stessi, si lavora per amore, niente di più. E ci si lascia tutto ciò che si ha, e tanto si dà quanto si riceve, forse talmente tanto da metter paura, da farci sentire assorbiti, quasi impotenti.
Non tutti forse riusciranno a capire, ma qualcuno sì e a me basta questo.
E allora grazie a voi e a te che oggi mi hai abbracciato come solo i veri fratelli sanno fare e, tenendomi stretta tutto il tempo necessario, mi hai detto che non ti sei dimenticato riaprendo dentro di me quel cassetto impolverato solo per un po’, quel tanto che basta per prendere aria.
Ora il vento spinge in un’altra direzione e tutto questo amore lo porto con me anche se da tutt’altra parte, senza rimpianti, contenta del mio percorso. E chissà che un giorno il legno non mi troverà.
Tra una lacrima e l’altra. Passo e chiudo. ; )
Datemi un teatro che sia un mistero: come per gli antichi, un misto di oscurità e conoscenza.
Datemi un teatro che mi accompagni nella notte, come le storie che gli anziani del villaggio raccontavano ai miei compagni africani, un teatro per i cuccioli d’uomo, accanto al fuoco,
datemi un teatro che mi possa svegliare ogni giorno, che mi inizi ogni giorno al giorno e alla sua fatica.
Datemi un teatro che sia cibo, che io possa sentire sotto i denti.
Datemi un teatro in cui, per magia, il tempo non conti, e saltino i quadranti a tutti gli orologi.
Marco Martinelli