Attesa e inaspettata.

Amo per questo le fotografie, perché tornano quando se ne ha bisogno e ti fanno ridere a crepapelle, ti abbracciano con i profumi e le luci di: “quella volta lì che…”.

Quelle che ho trovato stasera sono veramente speciali, Sono fotografie di giorni “perugini”, di nuove esperienze, di risate e di bellezza. E si sente ancora il profumo degli ulivi di Assisi, le cavolate dette per restare svegli e il sapore di novità e di professionalità che in quei giorni ci ha trasformato in giornalisti veri, con una passione per Caparezza non trascurabile.

Tornerò a scrivere, quando arriverò ad una nuova partenza, per adesso sono al pit stop. Si sta prolungando, le gomme erano piuttosto consumate. Intanto mi prendo questa dose di straordinari “appunti fotografici”.

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Italia loves.

Solo per dire che a me questa unione piace, questo modo di svegliarsi e fare qualcosa, criticabile, discutibile ma pur sempre straordinario: vedere 150 mila persone riunite non è una cosa che succede tutti i giorni. La musica che si mette a servizio, passa il testimone, di artista in artista. Tutti per un motivo. Com’è ogni volta che accade qualcosa per cui c’è bisogno di agire. Com’è stato per L’Aquila, come è stato con le “Parole di Lulù”. Un circolo, una rete. Siamo una repubblica fondata sulla musica. Ecco!

Per chi non sapesse ancora come seguirlo: Sky, Deejay tv, e tutte le radio di frequenza FM!

Vi posto un po’ di foto in diretta dal profilo twitter di Lorenzo Jovanotti!

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Presto e bene

Ad un telefilm lasciato lì a fare rumore scappa, in mezzo a tante parole non ascoltate, una considerazione forse banale e lei che è lì seduta al tavolo a combattere con il succo di pomodoro che goccia dappertutto si ferma un attimo e si chiede se veramente è così banale, e se veramente ha bisogno che una qualsiasi dottoressa uscita da chissà quale telefilm le dica una cosa che già in lei dovrebbe esser radicata.

Capita di esser distratti, a me capita quasi sempre: capita di far tardi, di scordarsi appuntamenti, di dimenticarsi di dire cose importanti che forse poi non ci sarà più tempo o occasione di ricordarsi.

Anche ai più distratti però, capitano dei piccoli momenti di attenzione quando si tratta di qualcosa che ci è a cuore, di cui vogliamo a tutti i costi prenderci cura, capita di esaminare tutto ciò che si è avuto in dono e di non aver voglia di  dargli troppe spiegazioni, capita che certe cose si decida di lasciarle maturare nel cuore.

Capita che si arrivi a capire. E che si voglia dirlo a tutti.

Che: “Le persone sono importanti”, così mi dice una bella voce registrata in una mattinata distratta.Immagine

Capire che il lavoro è coltivare e custodire con praticità, amicizia e quella condivisione che viene spontanea quando si è a casa, ogni vita che ci viene affidata, che ci passa accanto, che ci scontra.

Non per essere supereroi, ma per fare “PRESTO E BENE” come diceva Danilo Dolci ai suoi ragazzi, per restituire un po’ di quello che si è ricevuto, per essere un po’ più attenti, per iniziare a realizzare i nostri grandi progetti di cambiamento, i miei.

Capita che alla fine della giornata, quando dovresti dormire e invece cerchi di scrivere qualcosa, sfuggano tutte le sensazioni.

Capita che poi un amico a cui piace andare a dieci nodi ti ricordi scherzando le parole che macinano nella testa da un’intera giornata.

Anche ai distratti capita in queste sere silenziose di arrivare ad una piccola verità.

E di essere felici.

Dialoghi pacifici con la mia coscienza N°1

“IO NON RIESCO A PARLARE!!!”

“Chi è! che succede? non sono stata io!!!”

“Ma chi vuoi che sia? Sono io.”Immagine

“Io chi? Aspetta, metto gli occhiali. Aaaah sì, hai una faccia conosciuta figliola.”

“Coscienza ma sei impazzita?!? Sono io, Lalli!”

“Lalli??? Aaaaah certo quella che non mi parla più dal giorno della sua maturità?”

“E dai Coscienza su non te la prendere, è stato un periodo particolare.”

“E certo no. Comunque, lasciamo proprio stare guarda, che cosa vuoi?”

“No è che…”

“…”

“Io non ci riesco a parlare in modo sensato mai neanche una volta che ce la faccio”

“E lo vedo Lalli, lo vedo!”

“Mi emoziono, balbetto, e dico una cosa per un’altra. Faccio fatica a capirmi anche da sola!”

“Ecco, pensa io…”

” Porta aPerta Per chi Parte.”

“Ma che stai facendo?”

“Esercizi. SSSSSS. Per parlare meglio. Dai coscienza falli con me. TRRRRRRRR”

“Lalli tu c’hai il cervello che non parla bene, però un po’ ti capisco è difficile parlare bene quando hai un cuore completamente sgrammaticato come il tuo, imparerai, imparerai…STUDIA!”

“Qualcuno queste cose me le ha già dette.”

“Ero io sempre io! E adesso vai a letto, domani devi fare la sorella maggiore.”

“Buonanotte Coscienza”

“Buonanotte Lalli”

 

Casa.

Come la strada che mi porta sempre nel luogo esatto in cui voglio arrivare, come quel posto lontano dal centro dove mi fermo a riposare.

(Niccolò Fabi, Mi piace come sei)

 

Che “casa” non è dovunque, chiunque lo sostiene sbaglia.

Casa è dove torni e c’è qualcuno che ti aspetta, è tutto quello che rimane, tutto ciò che non se ne va.

Casa sono quegli amici per cui fai la differenza, che se non ci sei non è uguale. E non te lo dicono.

Casa è chi con te passa il tempo che serve, per dirsi tutto parlando di altro, anche sotto al sole, anche all’ora di pranzo.

Casa è ciò per cui bisogna stringere i denti, qualcosa per cui combattere.

Quello che mi fa sentire di nuovo “figlia” quando figlia non mi sento.

Casa è quando mi sento così amata da rimanere, è quando “il tempo non conta e saltano i quadranti a tutti gli orologi”

Casa sei Te con cui litigo sempre senza mai vincere, che Tu hai sempre quella marcia in più.

Ed è per questo che TORNO, sempre. Il più presto possibile.

Anche per guardarli tutti negli occhi, sentire il vento, ridere un po’ e poi salutare.

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Come fossi in attesa.

Mia piccola Amélie, lei non ha le ossa di vetro: lei può scontrarsi con la vita. Se lei si lascia scappare questa occasione, con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei! 

(Raymond Dufayel-Il favoloso mondo di Amélie)

Perché io ci casco sempre. Mi guardo allo specchio e le mie paure si dividono. Da una parte sono fatte di pezze colorate attaccate una all’altra a formare una coperta avvolgente e sicura, l’altra metà opaca, quasi di vetro ma non trasparente, come fosse in attesa di diventare definitiva.

È sul vetro che voglio spargere i miei colori, disegnare con cura con il blu, il colore dei sogni più nascosti, il rosso delle idee piene di cambiamenti, di amore che spesso restano nascoste per paura, come quella di Amélie. Il giallo della felicità per le cose più piccole, il verde dell’amicizia attenta e premurosa.

I miei colori non sono pensieri campati in aria. Sono concreti, sporcano le mani. Sarebbe ora di dare una forma all’opaco. Trovare qualcosa che resti. Lasciarsi andare e scontrarsi con la vita e magari  macchiare qualcun altro con le mie tempere fresche.

I colori sono matematici, non sbagliano.

P.S. Sì, stasera ho di nuovo passato la serata con Amélie Melina…è stata una bella serata!

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Mi raccomando.

Cercati, trovati.

Non aver paura di esser sola. 

Prenditi il tuo tempo.

Sii coraggiosa.

Non rimanere mai ferma, chi ama è in movimento.

Ringrazia ogni giorno,

Affidati.

Scopri.

Abbandona.

Ascolta qualche canzone

 Ripara.

Costruisci.

Non lasciare mai un abbraccio “non dato”.

Non dare mai nulla per scontato.

Coltiva e custodisci.

Fidati.

Prenditi cura come puoi.

E quando avrai tempo torna a quella frase, quella di Giovanni, che contiene tutto il mistero. 

Io sarò da qualche parte.

Ora ti lascio.

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“Non mi sono dimenticato.”

In questi mesi ho scritto di tutto: molte cose le ho cancellate, altre pubblicate ma ad alcune ho fatto in modo di non pensare.

E non ho mai scritto delle assi di legno: quel legno che ha un profumo tutto particolare, che una volta entrato a contatto con le mani, con i piedi, non si stacca più. Non ho scritto dell’amore che mi lega a quel legno e di quanto è stato difficile staccarmene. Forse perché, come dice un mio caro amico, certe cose dette ad alta voce perdono importanza, vanno maturate in silenzio nel proprio cuore e solo allora forse se ne potrà dire.

Penso di esserci arrivata.

Quel legno è stato per me il rifugio più solido, la mia casa, il pavimento su cui stendermi quando proprio non reggevo, il luogo dove ho provato le più grandi gioie e il più allucinante dolore, dove sono cresciuta: molte volte a suon di errori e delusioni. Ed ora se chiudo gli occhi so sentirlo ancora sulle mani, riesco a vederne gli angoli bui, ricordo il profumo  di cose nuove, di scoperte.

Ma soprattutto amo chi su quel legno ci è passato con me, e che di me non si dimentica. Amo ancora quelle giornate passate a suonare, a riascoltare mille volte le stesse parole, a cercare di superare i propri limiti, a buttare fuori tutto quello che si poteva, tutto in cambio di quella sensazione di pienezza: essere al posto giusto al momento giusto e non preoccuparsi del tempo che passa.Amo chi dopo tanto tempo riesce ancora a capire senza bisogno che io spieghi, amo chi a quel legno ha deciso di dedicare la propria vita: che sarà difficile a volte, ma che non lascerà mai “vuoti”, annoiati. Amo ancora chi aspettava sulla porta che si finisse e che in verità aveva tanta voglia di entrare e vedere, rubare. Perché su quel legno è vero si lavora per far viaggiare qualcun altro, ma si lavora soprattutto per se stessi, si lavora per amore, niente di più. E ci si lascia tutto ciò che si ha, e tanto si dà quanto si riceve, forse talmente tanto da metter paura, da farci sentire assorbiti, quasi impotenti.

Non tutti forse riusciranno a capire, ma qualcuno sì e a me basta questo.

E allora grazie a voi e a te che oggi mi hai abbracciato come solo i veri fratelli sanno fare e, tenendomi stretta tutto il tempo necessario, mi hai detto che non ti sei dimenticato riaprendo dentro di me quel cassetto impolverato solo per un po’, quel tanto che basta per prendere aria.

Ora il vento spinge in un’altra direzione e tutto questo amore lo porto con me anche se da tutt’altra parte, senza rimpianti, contenta del mio percorso. E chissà che un giorno il legno non mi troverà.

Tra una lacrima e l’altra. Passo e chiudo. ; )

Datemi un teatro che sia un mistero: come per gli antichi, un misto di oscurità e conoscenza.
Datemi un teatro che mi accompagni nella notte, come le storie che gli anziani del villaggio raccontavano ai miei compagni africani, un teatro per i cuccioli d’uomo, accanto al fuoco,
datemi un teatro che mi possa svegliare ogni giorno, che mi inizi ogni giorno al giorno e alla sua fatica.
Datemi un teatro che sia cibo, che io possa sentire sotto i denti.
Datemi un teatro in cui, per magia, il tempo non conti, e saltino i quadranti a tutti gli orologi.

Marco Martinelli

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